Hotel Mercure Delfino - venerdì, 18 gennaio 2019
Gustavo per 2 settimane medico missionario in Madagascar
Venerdì 18 gennaio il nostro amico Gustavo D’Ambrosio ci ha raccontato la personale esperienza di medico impegnato umanitariamente e professionalmente in favore della popolazione africana.
L’attività di volontariato in Africa era stata per anni un proposito di Gustavo che però non aveva avuto ancora occasione di concretizzare, sino a quando conosce un rappresentante dell’Associazione Medici Volontari Italiani in Africa che gli parla del “Progetto Madagascar” ed a cui aderisce con entusiasmo.
Non stiamo parlando ovviamente dell’Africa “degli occidentali”, quella dalle spiagge bianche e dalle acque limpide dei cataloghi delle agenzie turistiche, bensì l’Africa “vera” fatta di grandi contrasti: enormi ricchezze naturali e splendidi paesaggi contrapposti a profonda miseria ed arretratezza socioculturale.
Grazie al Progetto Madagascar sono state curate ed operate sul posto da oculisti come Gustavo circa 1500 persone. Si tratta perlopiù di interventi per la cataratta che permettono il recupero della vista per tante persone. L'Organizzazione Mondiale della Sanità stima infatti che vi sono nel mondo 45 milioni di non vedenti, la maggior parte dei quali vive in paesi sottosviluppati, per i quali la cecità diventa causa di emarginazione e di esclusione sociale.
La missione inizia con la partenza il 1^ novembre da Torino accompagnato dal figlio Enzo, anche lui oculista, da altri 2 colleghi oculisti, e da un anestesista. Tappa a Parigi per poi dirigere, dopo un volo di circa 12 ore, ad Antananarivo, capitale del Madagascar. La mattina successiva partenza con un Cessna per la località della missione dal nome impronunciabile: Ambatondrazaka.
Qui ad attenderli in aeroporto (definizione alquanto esagerata!) trovano Suor Luciana, arzilla religiosa settantenne, da 40 anni in Madagascar ed economa della casa de “Les petites servantes du Sacré Coeur de Jésus”, in realtà, tuttofare e “capo assoluto” della struttura. Per l’occasione, anche autista del suv indispensabile per spostarsi dall’”aeroporto” alla casa madre su una dissestata strada in terra battuta.
Durante tale tragitto Gustavo ha subito avuto modo di rendersi conto della miseria della comunità locale, capanne in legno con il tetto in paglia, botteghe con mercanzie varie, dal cibo a materiale riciclato, dal carbone, principale fonte energetica dell’area, all’acqua raccolta in bidoni, tutto ciò venduto ai bordi di strade costeggiate da fogne a cielo aperto.
L’indomani inizia il “lavoro” sanitario. Gran parte della chirurgia è rappresentata come detto da cataratte, ad uno stato così avanzato come raramente si vedono da noi, per cui gli interventi vengono condotti con tecniche non più attuali, anche perché la strumentazione a disposizione e la “sala operatoria”, non erano certo all’ultimo grido.
Il giorno della partenza, dopo due settimane di intenso lavoro, una sorpresa: un corteo di alcune decine di persone, parenti dei pazienti ed infermieri, porta a Gustavo ed ai suoi colleghi alcuni semplici prodotti di artigianato locale in segno di riconoscenza.
Dopo la commozione per questo semplice gesto, e dopo il controllo finale dei 95 pazienti operati, il pomeriggio di sabato 17 novembre si risale sul Cessna per iniziare il viaggio di ritorno che termina l’indomani sera quando tutti rientrano finalmente a casa.
L’esperienza di Gustavo ci fa capire che la partecipazione ad una missione umanitaria non può e non deve essere soltanto motivata da una spinta caritatevole, ma anche dalla speranza di poter essere un piccolo, ma concreto, strumento per la realizzazione di un mondo migliore.
Concluderei pertanto con le parole di Albert Schweitzer, teologo, musicista, medico, nonché premio Nobel per la pace per aver trascorso la maggior parte della sua vita quale missionario in Africa: “Anche se quello che si può fare è solo una goccia d’acqua nell’oceano, ma è quella che dà significato alla nostra vita”.
Grazie Gustavo per averci raccontato la tua esperienza.
Pino Barbera
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